COME STERMINARE LA PROPRIA FAMIGLIA NELLA SERA DI NATALE E PARTIRE SERENI PER LE BAHAMAS
Parte
tredicesima
Mio
padre: un uomo con una decina di frasi inserite in un microchip nel
cervello. Sono sicura che se con un macete gli tagliassi un braccio,
non scoprirei strati epiteliali, muscoli, vene e tendini, ma i
circuiti elettronici di un ciborg.
«Buongiorno»
«Buonanotte»
«Hai
spento la luce in camera?»
«Hai
lavato le mani?»
«Hai
salutato il portiere?»
«Hai chiuso il rubinetto?»
«Non
mettere il pane sottosopra che Gesù si dispiace»
«Hai
fatto il segno della croce?»
Ecco
mescolate queste frasi in tutte le varianti aritmetiche e avrete il
resoconto di buona parte dei nostri dialoghi in quasi 40anni.
In
particolare, il farsi la croce prima di mangiare e il recitare un
Padrenostro per ringraziare
una
divinità a cui da anni non credo più, mi sembra una violenza
psicologica da denuncia, ma siccome non ho più 10 anni, credo che il
telefono azzurro, se esiste ancora, non mi terrebbe in minimamente in
considerazione. Sono grande abbastanza per poter collezionare manie
suicida, crisi isteriche, sindrome bilaterale e manie ossessive
compulsive, passando assolutamente inosservata.
E'
di certo un bel rito ringraziare per il cibo a tavola, in fondo lo
fanno anche gli americani, o per meglio dire, gli statunitensi, i
famosi dispensatori di democrazia dove non la vogliono, i cowboy a
cavallo della bomba atomica, i sostenitori della pena di morte come
risoluzione a un qualcosa di irrisolvibile. Coloro a cui Dio concede
sempre la benedizione nelle grandi occasioni, come se Dio stesso
fosse un tifoso a stelle e strisce, come se il resto del mondo lo
avesse creato qualcun altro. «God bless America!», urlano i
presidenti e gli attori, che negli USA spesso fanno lo stesso
mestiere, dimenticandosi però che l'America non termina affatto ai confini
degli Stati Uniti, ma continua nelle povere Colombia, Brasile,
Argentina, Perù etc etc, ma si sa: Dio non parla spagnolo! Forse,
parla napoletano.
Abbandono
i miei pensieri per continuare a vivere pazientemente il mio 23
dicembre con mio padre in piedi dietro di me, mentre finisco di
sistemare la spesa nei mobiletti già stracolmi di ogni bene. Credo
che se scoppiasse una guerra atomica, sopravivveremmo almeno sei
mesi.
Non
mi dà una mano. Mi osserva. Sta aspettando che faccia la mossa
sbagliata, tipo mettere il caffè dietro lo zucchero o la bottiglia
di vino troppo esterna, pronto a riprendermi con la stessa serietà e
drammaticità di un colonnello in una base spaziale che rimprovera il
sottotenente perché non ricorda la parola d'ordine che salverà il
mondo dall' estinzione totale.
Ma
io ormai sono collaudata, non può fregarmi! E' vero lo confesso, sto
sudando, le mani sono fredde, deglutisco a fatica, tuttavia devo
resistere, per il bene dell'umanità 'Signor sì, signore!'
Sento il suo fiato grosso alle spalle, sento i suoi occhi che
scrutano, egli solo conosce la verità, egli predice il futuro e
sbadabam...urto con il ginocchio destro una bottiglia di olio. Essa
si inclina, la vedo mentre si avvia verso il candido pavimento
vergine della cucina; emetto un urlo soffocato di dolore mentre mi
chino in un nanosecondo - io che sto alla flessibilità fisica come
un lottatore di sumo in un balletto classico - procurandomi uno
strappo muscolare all'altezza dei muscoli lombari. Per esperianza
personale ne avrò per almeno due settimane, ma non importa. Afferro
la bottiglia rompendomi due unghia, che fa molto più male dello
strappo ai reni, salvandola da morte certa. Quasi quasi piango per la
commozione. Mio padre sembra deluso. Ha perso un'occasione per dare
un senso alla sua connessione elettrica tra mente e bocca. Si
accontenta allora di sistemare una sedia che secondo lui non è posta
alla giusta distanza millimetrica con il tavolo per poi sparire nel
salone.
Il
nonno mi guarda e sorride. Si punta l'indice in fronte e mi fa: «Tuo
padre, chille a capa nun è mai stata bona!»1
1«Tuo
padre, la sua testa non ha mai funzionato bene!»
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