Da quanto???


CIAOOOOO!!!!  😊


E sì, da quanto non scrivo su questo blog al quale sono particolarmente affezionata? Da troppo, dal 21 maggio, un eternità! La realtà è che mi sono dedicata ad altre cose, in particolare a vendere qualche copia del mio romanzo "Gallery", attività che non mi piace, non so fare l'agente di vendita, proprio non mi si addice. Ho sempre pensato che se a qualcuno piace un prodotto lo compra se no è IMMORALE insistere per convincerlo ad acquistare. 😃😃😃


Sono altresì convinta che Gallery sia la cosa migliore che abbia scritto finora, che sia un romanzo molto ricco di significati. Tuttavia se avrà successo non dipenderà da queste mie convinzioni, per cui vado avanti nella scrittura.
Ho cominciato proprio dieci giorni fa un nuovo romanzo che si intitolerà probabilmente : "Oltre il Vesuvio". Ce l'ho tutto nella capoccia, come dicono a Roma e per questo mi sento felice! Avevo messo giù ben otto soggetti per altrettanti romanzi di diverso genere, dal distopico al romantico (😨io che scrivo romanzi rosa??😁😁), ma non ne avevo cominciato nessuno. Poi, come è successo con Gallery, i due protagonisti Salvatore e Francesco mi sono apparsi.
La mia scrittura nasce sempre così, come una santa apparizione, un miracolo. E una volta che le mie creature mi appaiono, non c'è verso che io le lasci andare nel dimenticatoio. Lo so, sono fuori di testa, ho problemi neuropsicologici. Tutti gli scrittori e gli artisti ce li hanno, altrimenti saremmo altrove, faremmo altro.
E adesso come una sana eccitazione autoerotica sto scrivendo di questi due ragazzini nella mia Napoli del 1980. Un bel tuffo nel passato per raccontare anche il bello di questa città e di questa gente, la mia gente.

Attenzione però a chi mi seguiva l'anno scorso: udite, udite! Torneranno le puntate di "Come sterminare la propria famiglia la notte di Natale e partire sereni per le Bahamas". Infatti non ho dimenticato la mia cinica amica Aurelia, ma ho bisogno del clima prenatalizio per continuare le sue divertenti e grottesche avventure.

Bene, l'autunno è sempre stato il mio periodo creativo favorevole. Rimbocchiamoci le maniche e....giù di tastiera! 😎


Come regalino vi lascio un estratto dal secondo capitolo di "Oltre il Vesuvio". Sono in work in progress, ovvio, nel senso che è stato scritto di getto ieri, oggi lo rileggo e giù di correzioni, ma vi darà comunque un'idea del mio nuovo percorso d'amore con la scrittura. E' bello anche leggere un estratto grezzo e da modellare secondo me. E allora:
Buona lettura!

Emy

                                                                 OLTRE IL VESUVIO

Capitolo 2

Assuntina Cannetiello aveva 31 anni e quattro figli. Aveva conosciuto Pasquale alle scuole medie ed era stato subito amore. Si erano frequentati di nascosto per un anno, lei 13 anni e lui 15. Siccome la famiglia di Assuntina non la lasciava uscire mai se non la domenica mattina per andare a Messa con le amiche del quartiere, Pasquale per un anno era diventato cattolico praticante. Arrivava nella piccola Chiesa di S. Anna a Marconiglio dieci minuti prima della funzione; si sedeva all'ultima fila a sinistra e aspettava con ansia ed emozione genuine. Quando Assuntina varcava la soglia circondata dalle sue amichette, i suoi occhi si spalancavano e cominciava a sudare mentre il volto si arrossava tutto. Assuntina gli sorrideva sotto le sue belle lentiggini, poi prendeva posto nella fila davanti. Pasquale allora si avvampava, si sentiva leggero e pesante, si sentiva euforico. Per tutta quella mezz'ora circa di parole per lui senza senso, sospirate o declamate, non importava, egli preferiva ammirare il suo profilo come un devoto ammira la statua della Madonna: le sue ciglia lunghe, il suo nasino alla francese, la sua bocca sottile e rosa e soprattutto il modo in cui Assuntina quelle labbra da baciare le apriva e le riuniva per pronunciare le labiali. Più che la Santa Messa, Pasquale Cannetiello, detto Lino, ascoltava la vocina dolce e acuta della sua innamorata che recitava le varie preghiere con prontezza e precisione. Era così brava! Lui invece rispondeva al sacerdote a sprazzi, un sia Lodato Gesù Cristo qui, un Amen là e sempre rigorosamente in ritardo; per non parlare del Credo, che si era sempre rifiutato di studiare a memoria durante il catechismo, era troppo lungo e poi a che serviva? Lui credeva in Dio, punto, va bene così! Il Padre Nostro invece lo conosceva benissimo come l'Ave Maria e l'Atto di Dolore perché glieli aveva insegnati sua nonna quando era ancora piccolino e da allora non li aveva più dimenticati, soprattutto perché ad ogni errore oltre a un sonoro scapaccione la nonna lo spaventava dicendogli che sarebbe finito all'inferno.

Se c'era una cosa che Lino detestava era quell'odore di cera e di incenso perché gli ricordavano il cimitero. Perché una Chiesa doveva somigliare a un cimitero? E quelle parole ripetute in continuazione ogni domenica come una cantilena. Ma perché Gesù Cristo e o' Pataeterno non lo sapevano che lui in loro ci credeva e pure nella Madonna e in tutti i Santi? Ma se questo sacrificio significava vedere Assuntina per mezz'ora la domenica allora si poteva fare.

Finita la Messa, fuori alla piazzetta si fermavano a chiacchierare per una decina di minuti, a volte anche un quarto d'ora tra la fretta di Assuntina di tornare a casa e la brama di Lino di trattenerla e darle un bacio. Le sue amiche si mettevano in disparte per non disturbare e attendevano la fine dell'idillio ridacchiando un po' per invidia un po' per infantilismo.

«E me lo vuoi dare questo bacio?» le aveva detto una fredda domenica di febbraio.

«E dai Lino, se ci vedono!»

«E che dobbiamo fa' se ci vedono? Noi siamo fidanzati.»

«Mio padre non vuole lo sai.»

«E ma noi ci vogliamo bene»

«Lo so ma quello non capisce, è a' vecchiaia!» e rideva portandosi l'indice in fronte a indicare la presunta pazzia del padre.

«Ehhh, tuo padre è più giovane del mio!»

E Assuntina rideva e mentre rideva mostrando quei denti piccoli e bianchi, Lino prese coraggio e la baciò davanti alle sue amiche e ai passanti.

«Ue', ma tu sì sceme'» gli disse Assuntina allontanandolo con una leggera spinta senza troppa convinzione, tanto che rimasero abbracciati. Poi gli lanciò un sorriso malizioso che diceva piuttosto: 'E fallo di nuovo che aspetti?'

«Ho capito non ti è piaciuto, allora ci riprovo!» e l'aveva baciata di nuovo.

Era sopraggiunta a porre termine a questo bacio più audace e più profondo una delle amichette di Assuntina, che se la trascinò via per il braccio urlando che era tardi e che i loro genitori si sarebbero arrabbiati, mentre i due innamorati si guardavano come se null'altro avessero desiderato fare.

Quei due baci avevano cambiato tutto.

Lino da fidanzato serio, aveva subito imposto le sue regole: sarebbe andato a prendere Assuntina a casa sua due volte a settimana per una passeggiatina di un'oretta, previa conoscenza e consenso dei suoi genitori che puntualmente non arrivò. Quando Michele D'Antuono si era visto arrivare questo ragazzino magro e capelluto con le sue belle intenzioni nei confronti di Assuntina, era scoppiato a ridere. Se ne stava sprofondato nelle poltrona rossa in finta pelle, già sprofondata di suo. Si era lisciato i folti baffi neri, aveva alzato la testa e rumoreggiato uno 'tz' facendo schioccare la lingua tra i denti marroni e cariati, gesto che voleva dire: 'no'. Poi lo aveva fissato a lungo, godendo dell'imbarazzo del giovane, che comunque restava ritto e immobile, non se ne andava, né dava segni di temerlo.

«Mia figlia è piccerella. Adda finì a' scola. Tu fatichi?»

«Non ancora, quest'anno mi prendo la licenza, poi mio padre mi porta a lavorare cu isso.»

«Ah, sì? E che lavoro fa tuo padre?»

«Ch'ha la bancarella di frutta miezo a' Porta Capuana.»

«Aggio capito. Allora fa' 'na bella cosa guagliò: pigliate a' licenza, vaje a faticà e poi si mia figlia te vo ancora putite fa' ammore. Ma mo' nun se ne parla proprie!»

Lino se ne andò con la coda tra le gambe. Non se la sentiva di sfidare Don Michele. Era tanto grosso quanto forte. Lui scaricava la merce al porto ed era ben conosciuto sia per la sua forza quanto per il suo carattere facilmente irascibile. In fondo non gli aveva detto di no, gli aveva solo rimandato il fidanzamento una volta che lui avesse trovato un lavoro, gli sembrò giusto.

Per quell'anno si accontentò di vedere Assuntina di nascosto, di scambiarsi bacetti sotto la scuola, abbracci eccitanti e anche qualche toccatina di sfuggita. Lui la desiderava, la desiderava proprio tutta dalla testa ai piedi, ma doveva rispettarla!

Accettò inoltre di subirsi quella rottura della Santa Messa ogni domenica e festa comandata, finché finalmente l'agosto successivo cominciò a lavorare nel bancone ortofrutticolo di suo padre e il fidanzamento poté cominciare.

Gli incontri però non erano come se li era immaginati Lino. Potevano uscire due volte anche tre a settimana, ma con la compagnia del fratello minore di Assuntina, Carminiello, che oltre ad avere sempre fame, parlava troppo e soprattutto li osservava mentre si baciavano, cosa che dava molto fastidio. Nonostante Lino gli dicesse di guardare altrove, lui prima voltava lo sguardo da un'altra parte, poi lentamente li spiava e Lino si arrabbiava.

Un'ora poi passava in fretta e se pioveva di uscire non se ne parlava proprio. Lino intanto sentiva nascere in sé delle emozioni nuove, dei calori sotto il ventre che non riusciva più a dominare, tanto che i suoi stati di eccitazione doveva nasconderli o sotto il giubbino o sotto maglie lunghe. Poi una volta a casa se ne liberava nell'intimità del suo bagno. Assuntina da parte sua viveva il tutto con maggiore serenità. I baci e gli abbracci le bastavano e le avanzavano, mai avrebbe immaginato che ad un anno appena dal fidanzamento ufficiale, lui sarebbe riuscita a convincerla a saltare la Santa Messa per andare a nascondersi all'ultimo piano di un palazzo adiacente alla Chiesa, dove sapevano che la porta del solaio era rotta. Così tra travi di legno impolverate e luce a strisce lui l'aveva finalmente avuta. Assuntina nella sua ingenuità non ci aveva capito molto, si era solo fidata di lui e lo aveva lasciato fare sopportando il dolore e l'imbarazzo.

«Adesso sei solo mia!» le aveva detto mentre riempiva il suo piccolo ventre di una sostanza calda e densa. E Assuntina aveva risposto baciandolo felice di averlo reso felice.

Cinque mesi dopo, era autunno ormai, gli abitanti di vico Avvocata erano tutti affacciati alle finestre a ai balconi, per assistere alo spettacolo di Don Michele che inseguiva la figlia imprecando e dietro di lui la moglie che si portava le mani alla testa e poi allargava le braccia al cielo, in un buffo gesto ginnico mentre gli urlava «Fermati! Nun a' vattere!»

Non la picchiò, e quattro mesi dopo nacque Salvatore.

(continua)








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