Che fine ha fatto la signorina Park?
di Emilia Capasso
Abito al numero 47 di Crossfit Road in
un quartiere poco noto di Londra. Sono in un bilocale al quinto piano
di un palazzo di otto piani, costruito negli anni settanta del secolo
scorso. Quando la proprietaria, una donna sui sessanta dal volto
simile ad una giornata di pioggia, mi presentò il suo mini alloggio,
io mi sentii per la prima volta a casa mia.
Lei dovette notare il mio insensato
entusiasmo, a suo parere. E probabilmente doveva avermi considerata
una ragazza alquanto sciocca e di certo povera in canna, visto che mi
emozionavo dinanzi ad un banale cucina e camera da letto, arredato
con mobili di discutibile legno e moquette ricamata di macchie di
dubbia provenienza.
Le dissi : «Lo prendo!» trattenendo a
stento la felicità che ormai percorreva come uno sciatore all'ultimo
slalom tutte le vene del mio corpicino. Non volevo mi credesse del
tutto matta se avessi seguito il mio istinto e dopo un paio di salti
l'avessi abbracciata.
Con la stessa espressione da ghiaccio
per contusioni con la quale mi aveva salutata all'inizio e
accompagnata all'appartamento poi, mi salutò dinanzi all'uscio,
lasciando cadere le chiavi nel palmo della mia mano.
«E' un palazzo tranquillo, vedrà,
tutta gente per bene e discreta. Lei non ha intenzione di organizzare
festicciole, vero?»
«Ehm...no?» mi era involontariamente
scappata l'incertezza su quel 'no' di cui mi pentii all'istante e con
un gesto mentale atletico recuperai subito la palla persa con un
convinto: ''Assolutamente no! Non è mia abitudine!»
«Bene.» mi disse scrutandomi a fondo
senza proferire parola. Non so quanto durò quello sguardo
indagatore. So solo che mi spaventò. Non ero abituata e mi dava
alquanto fastidio essere fissata, in particolare da un'estranea. Mi
sembrò che lo facesse apposta per scorgere un minimo movimento
nervoso dei miei muscoli facciali che potesse svelare le mie vere
intenzioni a proposito delle suddette festicciole.
Quando chiuse la porta dietro di sé
ripresi a respirare normalmente. ''Tutta gente per bene e discreta'',
aveva detto. Bene, avevo proprio bisogno di quello, di gente che si
facesse i fatti suoi. Ero a Londra per migliorare il mio inglese, non
per fare amicizia. Beh, a dire il vero ero lì anche per dimenticare
il mio ex fidanzato che avevo scoperto in macchina, la mia tra
l'altro, avvinghiato ad un trans di un metro e ottanta. Ricordo
ancora me che tolgo l'appanno del finestrino destro davanti e le loro
facce che mi guardano dall'interno nell''oblò disegnato dal mio
palmo: lui, con un'insolita faccia da scemo, gli occhi sgranati e la
bocca aperta e lui o lei o quello che era, faccia rettangolare, naso
da maschio e bocca da donna. Occhi truccatissimi e sopracciglia ad
ala di rondine: le detestavo!
Entrambi si erano voltati verso di me.
Il trans bloccato sopra di lui come un fermo immagine. Erano entrambi
come la natura li aveva per errore creati.
Credo che in quel momento sarei stata
capace di dar fuoco ad un'auto con due persone dentro. Mi sono
immaginata la mia bocca che si ingigantivaa a misura d'uomo e sputava
fuoco come il draghetto Grisù degli anni settanta o ottanta. Mi
pento e mi dolgo adesso, ma davvero in quel momento avessi avuto un
lanciafiamme, credo che gli avrei dato fuoco.
Ebbene, ero a Londra per migliorare il
mio inglese, per dimenticare quel mezzo frocio del mio ex fidanzato,
ma ero a Londra anche per allontanarmi da un certo Michele Del
Gaudio, al quale dovevo circa cinquantamila euro. Beh, avrete capito
che la mia vita non è proprio quella che si dice una vita
tranquilla, per questo motivo, quando la proprietaria mi disse che
quel palazzo era tranquillo e abitato da gente per bene e discreta,
avevo tirato un sospiro di sollievo e mi ero gettata sul divanetto in
cucina provocando un'alzata di polvere tale da farmi starnutire per
qualche minuto.
Mi ero messa a riderecome una pazza
isterica: io ero allergica alla polvere. Se non volevo finire al
pronto soccorso per crisi di asma al mio secondo giorno a Londra,
dovevo armarmi di mascherima e guanti e dare una bella ripulita a
quello scenario degno di un giallo di Hitchcock. A tal proposito, i
miei occhi si posarono su un baule all'ingresso. '' The rope, Nodo
alla gola nella versione italiana'' pensai. Uno dei classici di
Hitchcock. Adesso lo apro e trovo il morto ammazzato!'' Smisi di
ridere. Ero rimasta a fissare il baule in legno lucido per un tempo
indeterminato, il tempo della follia. Alla fine feci una smorfia, mi
grattai in testa e decisi che lo avrei aperto l'indomani. Se davvero
ci fosse stato un morto, di certo da lì non sarebbe scappato e
sarebbe stato meglio occuparsene di mattina presto a mente lucida.
Presi una bottiglia di rosso dalla busta della spesa che avevo
portato con me e ne buttai giù lentamente la metà, intervallando
bocconi di formaggio e fette di pane. Il sonno e lo stordimento
arrivarono presto, facendomi dimenticare il frocio vero, il frocio
finto, il mio creditore incazzato nero, la proprietaria gelida e il
presunto morto nel baule.
Questo era accaduto circa un anno e
mezzo prima, prima di quel fatidico 18 dicembre, quando la signora
Johnston del secondo piano, una cinquantenne sempre stretta in abiti
a tubino di vari colori e tacco vertiginoso, dinanzi all'ascensore mi
aveva detto con voce calda alla Marilyn, alla quale devo dire
somigliava molto: «Ma non sa nulla? La signorina Parker è
scomparsa!»
Ero rimasta a guardarla, non so se
perchè più interessata al fondotinta miracoloso che usava e che le
donava l'illusione di una pelle da trentenne o al fatto che ignorassi
chi fosse la signorina Park.
Lei dovette intuire la mia perplessità
a riguardo perchè subito aggiunse: «La signorina Park, quella del
secondo piano!»
«La signorina Park, certo!» dissi
scuotendo la testa come a darmi della sciocca da sola. In realtà
continuavo ad ignorare chi fosse. Il mio cervello si rifiutava di
elaborare una qualsiasi immagine che si riferisse a questa signorina
del secondo piano che abitava nel mio stesso immobile da più di un
anno e che io in realtà ignoravo del tutto, a causa del mio totale
disinteresse, menefreghismo, o indifferenza per i miei condomini
britannici.
(continua)
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