Dalla mia raccolta, il racconto più breve.



SENSO DI COLPA  


La trovai fuori al balcone seduta. Lo sguardo perso verso una calda notte partenopea. Il braccio sinistro disteso sulla ringhiera e su di esso si appoggiava a elle l'altro braccio. A ritmi lenti, ma intensi, sotto lo scollo della maglia blu scuro, si gonfiava il suo petto voluminoso e ancora piacente. Le gambe raccolte e incrociate sotto la sedia, scoperte dal ginocchio in giù, erano grosse e percorse da strade tortuose di vene varicose. La collana e gli orecchini vistosi, scintillavano al riflesso della luce della camera da pranzo. Le unghie delle mani, erano perfettamente curate e laccate di rosso.  - Mamma! - dissi con un filo di voce. Lei esitò a guardarmi. Capii, perché la conoscevo bene, che non aveva versato lacrime esterne, ma che aveva pianto a dirotto dentro di sé. Mosse le labbra come faceva lei per sistemarsi quella dentiera che ogni tanto si staccava. Mi guardò appena senza vedermi. Forse cercava in una parte del suo cervello, rovistando come in una camera in disordine, le parole giuste da dirmi, ma non le trovava e ciò le creava un imbarazzo quasi infantile. Aggredivano il nostro silenzio d'amore, le auto  sul corso, tra rombi di motore e clacson fastidiosi e inutili, così come le moto che in estate a Napoli brulicano come formiche, in un concerto orripilante per sordi, che raggiungeva il suo apice all'arrivo improvviso e talvolta spaventoso del barrito di pullman sessantottini. Presi una sedia e mi sedetti di fronte a lei. Un venticello estivo ci portò per qualche minuto un po' di sollievo da quella umida calura estiva. Il suo sguardo era sempre perso verso la strada, in un punto forse di non ritorno, un luogo lontanissimo, dove forse lei molto volentieri si sarebbe persa. Da sola. Senza di noi. Senza di me.
 -Perché non lo lasci?- le chiesi diretta.   
Fu allora che mi guardò e mi vide. Sorrise senza gioia. 
-Lo sai, Emì. Non ho un lavoro io, né una pensione. Tu devi finire il liceo e tuo fratello, pure, si deve diplomare. -
 -Ma non possiamo continuare così. E io non sopporto di vederti così. Hai diritto a essere felice anche tu.- 
 Mi guardò come se stessi dicendo un'assurdità. La felicità non era contemplata, non era prevista nella sua esistenza.  -Per me tu e tuo fratello siete la mia felicità. Devo pensare al vostro futuro, io la mia vita l'ho già fatta. -  -Non lo lasci per noi, allora? - Non rispose a parole, ma rivolgendo di nuovo lo sguardo verso la strada, dove i rumori si mischiavano alle polveri, ai gas di scarico, al calore, al silenzio dell'anima. 

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