Uno dei racconti della mia ultima raccolta:
FIORI NEL
DESERTO
Un po' di tempo fa mi sono
ritrovata nel deserto. Avevo camminato troppo, ignorando le
raccomandazioni dei miei cari, e ancora una volta mi ero persa. Non
appena scorsi quel mare rossastro, invece di indietreggiare ho
proseguito, spinta da una forza interiore. Il sole mi picchiava in
testa nonostante il copricapo in lino bianco e non avevo con me che
una bottiglia d'acqua e una mela. Ciò nonostante avanzai tra le dune
bollenti, con l'aria afosa e pesante che mi schiacciava le tempie.
D'un tratto vidi qualcosa in lontananza, spuntare dalla sabbia. Mi
avvicinai e capii che era un fiore. Rimasi senza fiato. Era il fiore
più bello che avessi mai visto, con dei petali spessi e un profumo
intenso e indefinibile. Come se non bastasse, il suo incanto si
completava nel colore, poiché esso cambiava scivolando in sfumature
sempre diverse. Così, appena lo vidi era bianco, di un candore
accecante, poi divenne giallo, arancio e rosso, rosa, fucsia,
violetto, blu, azzurro, celeste, verde, marrone, nero, e infine
grigio sempre più chiaro fino a ritornare bianco. Sul bianco ci
restava a lungo, non saprei dire quanti minuti o ore, perché io
restavo lì a fissarlo senza più rendermi conto di nulla, mentre lo
spazio e il tempo intorno a me avevano perso ogni significato. Mi
sedetti difronte al fiore, sorseggiando di tanto in tanto un po'
d'acqua, preoccupata solo di non perderlo di vista neanche un
secondo. I suoi petali sembravano di velluto e me ne volli subito
accertare. Li toccai delicatamente con l'indice e il pollice provando
subito un brivido lungo la schiena, mentre gli occhi mi si
inumidivano. Non avevo mai toccato nulla di simile. Era come il miele
e la buccia della pesca insieme. Infine lo annusai. Chiusi gli occhi
e nella mia mente si accavallarono immagini di aurore boreali e di
schiumate all'infrangersi delle onde sugli scogli. Allora capii che
non lo avrei più lasciato. Non potevo, non volevo.
Il giorno divenne sera e
poi notte. Io ero sempre lì seduta davanti al mio fiore, il torsolo
di mela alla mia destra e due dita d'acqua nella bottiglia. La
temperatura era molto bassa, tremavo per il freddo. Allora mi
accostai di più, cingendo il fiore nell'incrocio delle mie gambe e
sfiorandolo con una guancia e poi l'altra. Avvertii così un
piacevole tepore, che mi permise di addormentarmi restando immobile
in quella posizione per tutta la notte. Nel sogno che feci, incontrai
un angelo senza volto. Rimasi con lui, mano nella mano, sentendo il
suo invisibile sorriso su di me, circondati da un paesaggio
indefinibile, dove il cielo e le acque dell'oceano si mescolavano.
Mi svegliai all'alba di
soprassalto, con l'insopportabile timore di ritrovarmi altrove.
Invece ero sempre lì, con il mio fiore tra le gambe. Ora era rosso
fuoco. Sorrisi felice e sospirai. Non sentivo dolore, stanchezza, né
fame né sete. Bevvi l'ultima goccia d'acqua e tornai a fissare i
lenti cambiamenti del pigmento. Attendevo sempre il bianco con ansia,
consapevole tuttavia di dover aspettare molto in quello spazio di
tempo ormai indefinito. Quando sopraggiungeva il bianco, tutto il mio
corpo tremava, gli occhi mi andavano all'indietro, mentre un'energia
benefica mi invadeva il corpo come una violenta ventata. Il sole era
caldissimo, eppure non avvertivo più nessuno stordimento. Così
trascorse il secondo giorno e la notte pure. Al mattino dopo, fui
colta da un'improvvisa tempesta di sabbia.
Con il mio corpo ad arco,
protessi il fiore, mentre la sabbia mi entrava negli occhi, nelle
orecchie e in bocca. Fu così violenta da graffiarmi il viso e le
mani a sangue, ma io non mollai, rimasi ferma, determinata a
proteggerlo. Terminata la tempesta, mi ritrovai seppellita sotto un
metro di sabbia. Sbucai con fatica dalla mia momentanea tomba e presi
a scavare tutto intorno per far ritornare alla luce il fiore che
avevo protetto per chissà quante ore. Una volta finito, mi rimisi
nella posizione del giorno prima, le mie gambe a incorniciarlo.
Adesso era azzurro e profumava di piedini di neonati e latte materno.
Giunsero così tante sere e tante notti, in un arco di tempo che
ormai a me sembrava immobile, finché un giorno fui svegliata da una
strana sensazione alle gambe. Aprii gli occhi e con stupore mi
accorsi che esse erano sparite e al loro posto si aggrovigliavano
delle sottili radici. Chinai la testa da un lato, sorrisi e ripresi a
fissare il fiore per tutto il giorno. Alla sera, anche le mie braccia
lentamente sparirono. Durante la notte, mentre dormivo e sognavo il
mio angelo, avvertii l'assottigliarsi sempre maggiore del mio torace.
Il giorno dopo, la mia testa sbucava per miracolo da un sottilissimo
stelo, mentre le radici, ovvero quelle che erano state le mie gambe,
erano immerse sotto la sabbia, e quelle che erano state le mie
braccia, si erano trasformate in rigogliose foglie. Ormai sapevo.
Sorrisi tutto il giorno per l'ultima volta, con le lacrime che mi
sgorgavano copiose sul viso. Il mattino dopo io, finalmente, ero un
fiore. Mi innalzavo accanto all'altro, perfettamente uguali, tranne
che nei colori, che cambiavano differentemente e questa cosa mi
faceva stare male. Volevo che i miei colori cambiassero all'unisono
con i suoi. Dovetti allora osservarlo per giorni, per poter capire,
in quel tempo che non era più misurabile, come raggiungere il suo
ritmo e adeguarmi alle sue trasformazioni. Feci molti tentativi,
finché non raggiunsi il mio scopo. Una volta che i nostri colori
miracolosamente cambiarono insieme, tutto intorno anche il cielo
prese a pigmentarsi in armonia con noi, mentre la sabbia assumeva
tonalità complementari.
Sono passati molti giorni,
o forse mesi, anni, magari un secolo, ma io sono ancora qui, io fiore
accanto al mio fiore, felice, serena, appagata e quando un po' di
vento ci permette di ondeggiare, ci sfioriamo, ci tocchiamo e il
nostro amore inonda, audace, il mondo insensibile che ci circonda.
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