Come sterminare la propria famiglia nella notte di Natale e partire sereni per le Bahamas.

Parte 15

I miei rapporti con gli uomini sono sempre stati fallimentari, accomunati tutti dallo stesso copione verso il finale: immancabilmente, accanto al nome del mio fidanzato, nei meandri nascosti della mia mente, io cominciavo ad associare una parola meravigliosa densa di significato: "coglione!"
Proprio così. Ogni qualvolta superavo la fase dell'innamoramento e le fette di prosciutto si staccavano come vecchi post it dagli occhi, il mio compagno si rivelava esattamente per quello che era: un coglione, appunto.
La colpa era mia che li cercavo e li trovavo sempre con gli stessi attributi: bellocci, sfigati, senza personalità.
Accadeva allora che Michele, fidanzato numero uno, mi telefonasse e che quella voce che un paio di mesi prima mi aveva fatto accaldare, avesse su di me lo stesso effetto della scorreggia del cane mastino della signora Rosa al quarto piano. Improvvisamente, le sue idee mi sembravano originali come il panettone a Natale. Avevo cominciato a detestare come muoveva le labbra mentre mangiava, trovavo orripilante il fatto che camminasse con i piedi alle ore dieci e dieci. Provavo ribrezzo nel constatare che i pollici delle sue mani fossero storti.
Il segnale che non destava più alcun indugio sulla fine della mia storia restava comunque quella parolina magica che indica una delle due sacche che incorniciano il sogno di molte donne.
"Tesò, che ne diresti se invitassimo ad uscire Maria e Paolo? Potremmo andare al bowling!"
"Certo! (Coglione)"
"Amore, e se domenica pomeriggio ce ne stessimo a casa a vedere la partita del Napoli? Vengono Gianni e Livia."
"Ma che bella idea! (Coglione)"
Così passavo le ultime settimane con il mio fidanzato a immaginarlo come una grossa sacca piena di spermatogoni, finché non ne potevo più e troncavo sempre con la stessa frase: "mi spiace, ma sarebbe meglio prenderci un periodo di riflessione". Dopo qualche minuto di silenzio, tutti i miei fidanzati mostravano la stessa espressione di incredulità che si poteva riassumere in: ma come proprio io? Rinunci a me, l'uomo migliore sulla faccia della terra, che non ti fa mai mancare le rose al compleanno, i cioccolatini a San Valentino, che a letto conosce almeno tre posizioni, che non ti ha mai tradita? Che ti amerà anche brutta vecchia e grassa? 
Ecco questo è il tratto che accomuna molti uomini: pensano tutti di essere unici e speciali. Colpa delle loro mamme. Mentre la maggior parte delle donne pensa di essere imperfetta e inadeguata. Colpa dei papà.
La mia famiglia invece rappresenta l'eccezione che conferma la regola. Nella mia famiglia mia madre è convinta di essere l'intelligenza suprema e considera mio padre un idiota. Ha trascorso gran parte degli anni di matrimonio a convincerlo della sua teoria e alla fine ce l'ha fatta! Adesso sono una coppia perfetta, basta che uno parli e l'altro stia zitto.
Il mio secondo fidanzato si chiamava Aristotele. Non scherzo e a quanto pare nemmeno i suoi genitori. Venivo da un periodo nel quale mi ero fatta assorbire dalla lettura dei gialli di Agatha Christie ed ero rimasta affascinata da questi personaggi maschili molto raffinati, colti, ricchi, affascinanti. Ragion per cui, quando conobbi Aristotele, o Aris, come si faceva chiamare, ne rimasi folgorata. Era alto, magro, bianchissimo, occhi di un colore impreciso tra il grigio e il blu. Vestiva con cappotti lunghi, camicie e pantaloni classici e quando apriva il portafoglio potevo notare la notevole fila di banconote, un vero tocco di classe!
Mi piaceva come si sedeva accavallando le gambe e come fumava il sigaro; adoravo il suo profumo da 150 euro, la sua auto da 30.000, i suoi guanti in pelle nera e la sua villa a Sorrento.
Lo avevo conquistato una sera a casa di amici, quando mi ero finta interessata ai suoi discorsi sulla fisica quantistica. In realtà, allora ero davvero affascinata da questo ragazzo sapientone e straricco. Mi ero finta interessata nel senso che nonostante non ci capissi una mazza di quello che affermava, mi divertivo ad annuire, a spalancare gli occhi e ad esclamare: "incredibile! Ma davvero? wow, fantastico, non lo sapevo, che meraviglia!"
Quindi, al contrario delle altre che scappavano a gambe levate dalle sue teorie sul tempo, buchi neri,  voli spaziali, universi paralleli e altri misteri per noi comuni mortali, io quella sera rimasi lì a trangugiare le sue parole attratta dalla sua inconsapevole britishness.
I sei mesi successivi li passai tra serate nei migliori ristoranti di Napoli, sulla sua barca da 10 metri, al circolo del tennis, a quello del golf e a quello della vela. Unica pena da scontare era la monotonia dei suoi discorsi, quasi sempre incentrati sul riassunto del suo prossimo esame all'università.
Cominciai a pensare che stesse con me solo per ripassarsi le lezioni.
Persino a letto, mentre devo dire con fin troppa delicatezza si inseriva nella mia vagina - segretamente desiderosa invece del più grossolano e volgare muratore di Napoli - a volte esordiva con dei dubbi sul significato della teoria a pagina 46 del settimo capitolo, oppure si masturbava mentalmente per ricordarsi il nome di quello o quell'altro scienziato.
"Oh tesoro sii, siii lo senti? mmm siiii il principio di indeterminazione di Heisenberg, lo sentiiii? E il momento angolare dove te lo metto eh? Il momento angolare, prendi prendi la mia catastrofe ultravioletta...."
E io pazientemente subivo, subivo pensando al suo affascinante portafoglio. Non credo di essere mai venuta con lui, anzi, devo ringraziarlo perché con lui ho imparato a fingere. Sapevo la sua durata massima: 24 minuti e tredici secondi. Mi bastava fingere al 22esimo della ripresa, lasciargli quei due minuti e mezzo di orgoglio maschile e finalmente anche quella era andata! Lo abbracciavo e lo baciavo come l'amante più soddisfatta al mondo e il bracciale d'oro visto il giorno prima era MIOOOO!
Lo so, penserete che sono una persona squallida, forse sì, ma almeno lo ammetto.

(continua)

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