Come
sterminare la propria famiglia nella notte di Natale e partire sereni
per le Bahamas.
capitolo
17
Quando
mia madre mi vide uscire dalla mia stanza vestita come una baldracca
di giorno, si portò una mano alla bocca, trattenne il respiro e per
rispetto verso la cugina Jessica ingoiò l'imprecazione che comunque
io, data l'esperienza pluriennale di reciproca conoscenza con la
donna che chiamavo madre, riuscivo a leggere telepaticamente.
«Andiamo
a fare due passi!» spiegai con un sorriso falso che nemmeno
Berlusconi dopo aver perso le elezioni.
Jessica
era riuscita a convincermi ad indossare una sua minigonna leopardata
talmente corta che non avrei osato sedermi nemmeno dopo 30 km di
marcia; delle calze trasparenti con un fiocchetto malizioso dietro al
ginocchio destro, un paio di decolté con tacco a spillo, sui quali
camminavo con la stessa leggerezza ed eleganza di un culturista e
infine il suo giubbino in vera pelle nera con tanto di pellicciotto
maculato.
Sotto
l'uscio della porta non riuscii a frenare la mia pungente ironia,
vuoi per sdrammatizzare il mio imbarazzo, vuoi per evitare un infarto
a mia madre che ora, simulando un inizio di svenimento, si reggeva
con la mano destra sul mobile della cucina, e salutai la mia uscita
con un: «Mal che vada torniamo con un bel po' di soldi!»
Mia
cugina per fortuna non capì, mentre mia madre abbozzò un sorriso.
Per questo motivo tirai un sospiro di sollievo, almeno quel 24
dicembre mi sarei risparmiata di accompagnarla al Cardarelli.
Ora,
già camminare per strada a Napoli su quei cuscinotti di pietra nera
che la pavimentano è un'impresa, farlo poi con i tacchi a spillo è
da guinnes dei primati. Cercavo di sembrare normale, disinvolta, ma
ogni due, tre passi beccavo una storta del demonio, mentre nasceva in
me il desiderio di togliermi quelle torture dai piedi e lanciarle nel
più vicino bidone della spazzatura. Jessica invece o era immune alle
storte, o doveva aver frequentato un corso per camminata a ostacoli
con tacchi, corso di cui io ovviamente ignoravo l'esistenza.
Appena
avvistai un marciapiede dove la pavimentazione non era dissestata,
trascinai mia cugina indicando una serie di negozi che di certo
avrebbero fatto al caso nostro.
Jessica
intanto si guardava intorno un po' sorpresa, un po' nervosa, come un
alieno per la prima volta sulla terra. Eppure a Napoli c'era già
stata.
«Ma
guarda lì,» disse afferrandomi il mento con la mano per forzarmi a
guardare in una certa direzione «in quattro, giuro erano in quattro
su uno scooter!»
«Be',
si normale. Anche in cinque.»
«Ma
come è normale??»
«E'
normale, non possono permettersi la macchina, usano lo scooter.»
«Starai
scherzando, spero.»
Scossi
la testa in segno di diniego.
«Ma
se cadono si ammazzano!»
«Impossibile.»
«Sarebbe
a dire?»
«Mai
successo. Puoi leggere i quotidiani degli ultimi 30 anni, mai morto
nessuno caduto da uno scooter con tante persone o bambini sopra.»
«Mi
prendi in giro.»
«Fai
pure le tue ricerche e poi mi dirai. Questi qua a Schumacker e Valentino Rossi se li magnano! Ti fanno le loro corsette da
gran premio a occhi chiusi.»
«Cosa
vuoi dire?»
«Vedi,
è fin troppo facile prendere un'auto da corsa o una moto e correre
libero su una pista che conosci a memoria e dove sai che i tuoi
avversari comunque rispetteranno le regole. Prova a guidare in questa
città dove l'unica regola è non seguire alcuna regola; prova a
uscire fuori da ingorghi assurdi nelle ore di punta o a svirgolare
tra vicoletti strettissimi; oppure cerca di evitare gli scooter che
ti sfiorano al centimetro o i pedoni che attraversano dove gli
pare...a proposito, ecco la profumeria, attraversiamo.»
«Qui??»
«Sì,
qui.»
«Ma
le strisce sono lì»
«E
lo so che le strisce sono lì, ma sono a 50 metri da noi e che senso
ha arrivare fino a lì per poi dover tornare indietro? Non ti
preoccupare non ci menano sotto. Loro lo sanno che dobbiamo
andare in profumeria.»
«Loro?
Ma loro chi?»
Afferrai
mia cugina per il braccio e attraversammo mentre le auto rallentavano
e ci lasciavano passare. Un uomo baffuto si sporse dal finestrino e
dopo avermi spogliata con gli occhi esclamò un: «Mamme e' do'
Carmene!» scoppiai a ridere.
«Certo
che siete strani.» concluse mia cugina.
«No,
siamo pragmatici.»
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