parte 7
COME
STERMINARE LA PROPRIA FAMIGLIA NELLA SERA DI NATALE E PARTIRE SERENI
PER LE BAHAMAS
Nonno
Flavio era nato nel lontano 1922, sedicesimo figlio di una nonna
supereroe! Avevo conosciuto solo un paio dei suoi fratelli, morti
entrambi ultranovantenni ma lucidi e sani come pesci. Semplicemente ad
un certo punto l'orologio della vita aveva smesso di battere.
Quello
di mio nonno invece, sembrava indistruttibile. Aveva partecipato
giovanissimo alla seconda guerra mondiale, di cui stranamente
ricordava solo tre o quattro episodi che era solito raccontare
adoperando sempre le stesse parole e le stesse espressioni, come se
fossero delle poesie imparate a memoria. Non c'era un motivo evidente
per cui gli si accendesse la memoria. Capitava così all'improvviso.
Stringeva gli occhi e cominciava: -Mi ricordo che quando stavo in
guerra...- a questo punto di solito mia madre afferrava il primo
straccio che trovava per rifugiarsi in una stanza a pulire sul
pulito; mio padre prendeva una sigaretta e si rintanava fuori al
balcone; mio fratello Tony andava a mettere miscela al motorino;
infine mia sorella Valeria fingeva un impellente bisogno biologico.
Le varie scuse poi, capitava che si interscambiassero, nel senso che
a volte era Valeria ad andare a fumare, Tony scappava in bagno e papà
andava a mettere miscela al motorino, mamma...ehm, no. Mamma
interscambiava solo uno straccio con una scopa.
Una
cosa era certa: in salotto con il nonno ci restavo io con i miei
sensi di colpa, altra arma segreta adoperata da mia madre su di me sin
dall'infanzia. Rimasta sola nel nostro salotto con i parati a rombi
di foglie marroni e il tavolo in marmo rosa, non avendo una scusa
pronta anche perché puntualmente venivo battuta sul tempo ( e io
sono lenta, lentissima ), non potevo fare altro che ascoltarlo con un generoso finto interesse.
Uno
dei suoi famosi racconti riguardava un pomeriggio in cui, mentre
faceva la ronda per Napoli, vide un soldato tedesco sparare in fronte
ad un uomo che stava facendo la fila per prendere da mangiare.
C'era
una lunga colonna di persone in piazza Plebiscito che attendeva il turno per un sacchetto di
riso o una forma di grana. Siccome
si trattava di un mercato illegale, il tedesco cominciò a sparare
prima in aria poi sulla folla folla ferendo a destra e a manca e mentre tutti scappavano come formiche impazzite, in terra restava quello colpito in fronte. In piedi accanto a lui, solo come il più solo al mondo,
se ne stava tremolante il figlioletto di circa cinque anni che si passava le manine in viso
tra lacrime e muco. Il racconto poi finiva così, con un continuo annuire
del nonno che voleva significare tantissime cose
inutili da precisare.
La
prima volta che mi aveva raccontato questo drammatico episodio, gli
avevo chiesto perché non avesse difeso lui, essendo un soldato
italiano, quei napoletani che in fondo erano lì solo per procurarsi del cibo.
Lui sorridendomi mi aveva risposto: -Vedi in guerra non si capisce
niente. La cosa più difficile da capire è chi è il nemico. In
genere quando l'hai capito, la guerra è già bella e finita. Noi
eravamo alleati dei tedeschi. Se io difendevo quelle persone, stai
sicura che avrebbero fatto fuori me e altre 100 per vendicarsi. Però,
ti posso assicurare che quel soldato due giorni dopo sparì nel nulla
e se dico nulla è NULLA! E non fummo noi soldati a occuparcene.”
Finita
la guerra il nonno era tornato con una gamba inferma, ragion per cui
aveva ottenuto una pensione di invalidità di cui una buona parte
pensò bene di investirla nel mercato nero. Aveva conosciuto diversi
soldati americani e il suo carattere scaltro e forse anche un po'
ruffiano, gli aveva permesso in poco tempo di avviare un commercio
che portava beni di ogni genere ai soldati della NATO, stanziati
nella località partenopea di Bagnoli. Attraverso questo mercato
illegale vendeva anche ai napoletani, che si ritrovavano
elettrodomestici a prezzi stracciati. Nel giro di pochi anni arrivò
ad aprire un primo negozio, poi un altro e poi un altro ancora, fino
ad arrivare a possederne sette in tutta Napoli. All'età di 60 anni,
il nonno possedeva quattro case a Napoli, due case al mare una a
Sorrento e una a Diamante in Calabria, oltre a una piccola barca
posteggiata al molo Beverello e chissà quanti soldi in banca, in
Italia e in Svizzera.
Adesso
penserete che mia nonna abbia fatto la vita della signora e quindi
anche mia madre e i miei zii tutti. Ebbene, nulla di tutto ciò! Il
nonno oltre a essere tirchio della peggior specie, sosteneva che così
come lui da solo ce l'aveva fatta, così dovevano farcela da soli i
suoi figli. Ragion per cui di tutte le sue ricchezze noi potevamo
usufruire solo della casa in cui abitavamo, che comunque restava
proprietà del nonno e della casa in Calabria in estate, ma solo a
giugno o settembre. Quella a Sorrento o ci andava lui con la nonna
quando era in vita o la affittava.
Nonno
Flavio a 94 anni era lucido come un giovincello, per cui non
riuscivamo a storcergli nulla, anche se poi durante le festività o
ai compleanni, devo dire che, non per affetto quanto per senso del
dovere, un sostanzioso regalino arrivava per tutti. Adesso viveva con
noi, o piuttosto faceva parte del mobilio, perché passava le
giornate a dormicchiare sulla sua poltrona in velluto rosso oppure a
vedere la TV. Usciva solo una volta al pomeriggio verso le quattro,
per vedersi con una signorina settantacinquenne,
Maria Concetta Marino, vedova con due figli ormai ben sistemati. La
coppia di fatto, era solita incontrarsi per un caffè quasi tutti i
pomeriggi da circa tre anni.
Non
so di cosa parlassero, spero non le raccontasse della guerra, anche
se, a dire il vero, la signora Maria era totalmente sorda ad un
orecchio e abbastanza sorda all'altro. Portava anche degli occhialoni
spessi, con una montatura in madreperla. In inverno una pelliccia sintetica, in estate vestitini a fiori in cotone o lino. Era una donna molto fine, in
fondo mio nonno restava un uomo arricchito ma di classe, che in
qualsiasi situazione cercava sempre una certa eleganza.
Forse
parlavano del tempo, forse dei figli. Di certo non parlavano della
succursale di sfiga alla quale appartenevamo io Barbara e Luisa. Ma noi non eravamo state tanto fortunate da vivere durante il dopoguerra. Noi vivevamo nell'era del benessere, quello degli altri!
Barbara
si era data una passata di rossetto fucsia e una incipriata rapida.
-Cavolo
già le due! Dobbiamo andare ragazze!-
Io
e Luisa ci scambiammo lo sguardo tipico di due condannate ai lavori
forzati. Ci attendevano quattro ore di: “Buongiorno signora, sono
Giggina della “.....”, volevamo informarla della straordinaria
offerta che le cambierà la vita: da oggi in poi, spendendo solo 24,
99 euro al mese lei sarà felice, entusiasta e appagata; imparerà a
volare, ringiovanirà di dieci anni e avrà tanti amanti giovani e
fighi ex tronisti di Maria de Filippi, il tutto ad un prezzo
bloccato, finché morte non separerà la sua anima dal suo stupido
corpo!”
Be',
non era proprio così che dicevo, ma allora sì che sarebbe stato uno
spasso lavorare!
(continua)
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