Di Cenerentole, Regine e altri malfattori

Racconto di
Emilia Capasso

Da alcune settimane era calata su di me una sorta di tendina di indifferenza. Le chiacchiere, i discorsi, i problemi di amici e conoscenti mi passavano sul corpo come un vento caldo. Le notizie del mondo non mi interessavano. Conservavo costantemente sul viso un’espressione piatta.
Volevo diventare come il tempo: trasparente, senza inizio e senza fine.
La mia vita aveva smesso di avere un senso quando un giorno avevo scoperto di averne uno: mi ero follemente innamorata di una persona che non esisteva. Penserete che io sia matta, beh’ non vi sbagliate, in parte lo sono, ma non al punto di non comprendere la mia pazzia. Questa persona di cui mi ero innamorata era ben viva, ovvero respirava, lavorava, mangiava, dormiva e tutto quanto. Aveva anche una compagna e una figlia. Tuttavia nel mio immaginario lui era un essere speciale, era quello che avevo aspettato o cercato o immaginato per tutta la vita. Il famoso principe azzurro o uomo dei sogni. Ed era arrivato proprio quando non me l’aspettavo. Solita storia, penserete, ebbene no, non lo era.
Il problema era che in questa fiaba reale che era la mia vita, io non giocavo il ruolo di Cenerentola, bensì quello di un personaggio fuori narrazione. Cenerentola era un’altra e quella sera io stavo per incontrarla.
Non potevo credere che il destino o il caso o la mia energia di attrazione l’avesse portata sul mio cammino.
Si era iscritta una settimana prima al mio stesso corso di latino americano. Avevo casualmente letto il suo nome nella lista dei partecipanti di quel martedì. Avevo alzato le sopracciglia, provando una certa sorpresa mista a sete di malvagità. Forse la sua partecipazione al mio stesso corso si sarebbe rivelata come l’occasione giusta per vendicarmi.
Generosità, pietà, comprensione, bontà, empatia erano sentimenti dei quali proprio il suo caro compagno mi aveva insegnato l’inutilità. Lui che era stato il mio amante per quasi tre anni, mi aveva trasmesso la sua malattia, raggelando i miei sentimenti, e ricoprendo il mio corpo con un’armatura di ferro. Adesso ero una guerriera che desiderava solo vendicarsi.
Siccome avevo immaginato questa Cenerentola come una bellissima ragazza ingenua, mai provai gelosia nei suoi confronti, poiché non avevo mai considerato né la bellezza né l’ingenuità come dei valori.
L’unico mio peccato nei suoi riguardi era l’invidia. Più volte, infatti,  l’avevo immaginata avvinghiata all’uomo che più desideravo al mondo; l’avevo vista baciarlo con passione nel letto, sotto la doccia, a prima mattina mentre facevano colazione. Li avevo immaginati mandarsi messaggi traboccanti di “ti amo, mi manchi, quanto ti voglio, non vedo l’ora di averti stasera, ti desidero” il tutto colorato e romanticizzato da cuoricini e smiles con bacetti.
E avevo anche immaginato il giorno in cui erano andati a vivere insieme, in cui lui l’aveva presentata ai suoi come la donna della sua vita, quella con cui avrebbe condiviso gli anni a venire e messo su famiglia. Il tutto provando una immensa invidia.
Ma cosa c’entravo io con la loro tenera fiaba d’amore? Io, il famoso personaggio fuori narrazione.  C’entravo tutto e niente, perché ero stata semplicemente la sua amante, quella che quando si viene scoperti “non conta nulla”.
E nonostante fossi entrata per prima nella vita di lui, ero ben presto finita relegata ai margini di un foglio immaginario. Ero un po’ come quegli appunti presi a matita in fretta, mentre la parte importante del testo è quella scritta bene e ordinata. Solo che anche gli appunti servono, anche gli appunti hanno un significato.
Così mentre a lei regalava baci, abbracci, promesse e parole dolci, a me donava la sorpresa del messaggio inatteso, la passione, il desiderio incontenibile, il piacere fine a se stesso.
Poi un giorno d’improvviso avevo preso a star male, troppo, lui mi mancava, lo volevo tutto per me, allora ero stata costretta a mettere la parola fine a quella fiaba che avrei invece voluto non finisse mai.
E dopo due anni di tentativi di sepoltura me la ritrovavo lì al mio corso di latino americano, la mia Cenerentola a riportare alla luce antiche ferite, rabbia e sete di vendetta.
Cosa avrei potuto fare? Avrei potuto scriverle due righe e infilargliele nella borsa nello spogliatoio mentre non c’era nessuno. Oppure avrei potuto stampare alcuni messaggi di lui, ardenti, talvolta ai limiti della decenza, che ancora conservavo sul PC non per amore suo, ma per ricordarmi di non ricadere più in trappole simili.
Sarebbe stato bello gridarle in faccia: “io mi sono trombata il tuo compagno tante di quelle volte mentre tu chissà magari eri a far la spesa con mammina o al lavoro, povera scema!” E chissà,  magari proprio mentre scendeva le scale di casa mia ti mandava messaggi pieni di bugie: “sono al lavoro amore mio, sono con un cliente, sono in macchina ti chiamo appena posso”.
Ma poi pensavo che se lei, povera scema, se lo era preso e tenuto come fidanzato e mai in tutti quegli anni si era accorta di nulla, beh allora era proprio quello che si meritava, che se lo tenesse corna comprese!
Al corso di latino americano non mi guardai intorno per cercarla con gli occhi poiché l’avrei riconosciuta nel momento in cui il maestro di ballo avrebbe fatto l’appello. Fu così che quando pronunciò il suo nome la vidi e rimasi a dir poco sorpresa: era minuta, più bassa di me, capelli lunghi tenuti su alla meglio, niente trucco, un corpicino giovane ma privo di sensualità. Nonostante avesse molti anni in meno, la mia fisicità la sommergeva. Sembrava quelle adolescenti che per restar magre saltano i pasti. Era incredibilmente normale. E io che l’avevo immaginata bellissima, la Cenerentola che aveva fatto innamorare il Principe Azzurro. Che delusione!
Ad un certo punto, essendosi accorta di essere la meta del mio sguardo avido e insistente, si girò verso di me. Il nostro incontro visivo durò solo un attimo perché invasa dalla sicurezza dei miei occhi subito abbassò i suoi, mentre il suo corpo si irrigidiva. Non era possibile: lei sapeva? Lei era a conoscenza di me? Era diventata ancora più piccola. Non lo so, forse la mia immaginazione era troppa, ma mi sembrava imbarazzo quello che emanava il suo sguardo.
 Ma come e quando aveva scoperto della nostra relazione? In fondo, ero stata io a lasciarlo, anzi a scacciarlo e anche brutalmente, stufa di essere trattata come la famosa bambola di Patty Pravo.
Possibile che lei avesse scoperto il tradimento e che avesse finto di non sapere nulla pur di tenersi il bastardo infame traditore? Forse le era capitato di leggere uno dei miei messaggi, uno di quelli che lui per sbaglio non aveva cancellato. Allora tra le lacrime doveva averlo riempito di insulti, doveva averlo invitato ad andarsene via, mentre lui si inginocchiava, le gridava tutto il suo amore, supplicando di perdonarlo perché era stato solo un momento di debolezza (tre anni quasi), che non sarebbe successo più e che senza di lei era un uomo finito.
O forse le aveva mentito dicendole che ero una povera matta invaghita di lui, che lo perseguitavo con messaggi e chiamate nonostante lui si fosse mostrato sempre indifferente ai miei tentativi di seduzione e mi avesse ripetutamente detto di essere felicemente fidanzato.
In ogni caso, la delusione era il mio sentimento più forte, insieme a quello della compassione.
Per tutta la serata lei evitò di guardarmi. Se si trovò a passarmi accanto, fu per caso e lo fece sempre tenendo il capo chino e le membra rigide.
In questa stupida fiaba io adesso ero la Regina cattiva, che dinanzi alla povera Cenerentola, invece di infierire contro di lei, la lasciava andare al suo destino.
La verità era che mi aveva spiazzata. Quella sera mi ero recata al corso con il solo scopo di  vendicarmi combattendo contro una degna rivale; invece mi ero ritrovata davanti una bambina insicura, destinata a sofferenze ben peggiori delle mie.
In fondo, a me lui “Ti amo” non l’ aveva detto mai.

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