Storia dei miei capelli
ricordo 7
(prima parte)
Sono davanti a uno specchio in un corridoio abbastanza luminoso. Mi guardo con estrema malinconia. Ho lavato i capelli e sistemato la parte davanti con dei piccoli bigodini poiché quelli grandi sarebbero inutili, visto che i capelli sono pochi e di media lunghezza.
Non è casa mia, sono in Inghilterra per un viaggio studio. Non ci sarei mai andata se non fosse stato per un pensiero folle che avevo elaborato negli ultimi mesi: scappare via.
I rapporti con le mie amiche di classe sono deteriorati. Da un lato non sopporto quelle fortunate, benestanti, piene di ragazzi e disinteressate allo studio. Dall'altro non sopporto quelle più o meno povere come me, sfigate come me, troppo simili perché io possa trovarle interessanti. Non mi piace neppure più la scuola che frequento: solo donne, un delirio! Nel biennio la presenza di alcuni maschietti aveva vivacizzato l'ambiente, ma nel triennio sono confluiti tutti nell'economico aziendale .
In realtà, le mie compagne di classe non hanno nulla che non vada, sono io quella sbagliata e lo so, ne sono consapevole. Ho un'altra sensibilità, ho letto troppi libri, mi piace studiare, amo l'arte e la musica. Dovrei essere altrove, dovrei frequentare il liceo artistico o il conservatorio dove pullulano le teste storte come la mia. Invece ogni giorno mi tocca sopportare il conformismo, il perbenismo, il pettegolezzo da parrucchiere. Odio la normalità mentre amo le differenze, l'originalità di pensiero, sono in sostanza curiosa di ciò che non so.
Da un po' di tempo ho cominciato a vestirmi di nero, anfibi da soldato ai piedi, è la moda dei dark, unico gruppo al quale mi sento di appartenere almeno in parte. Gli anni ottanta, infatti, sono anni di classismo antidemocratico tra i giovani. In maniera del tutto naturale, ci eravamo auto-divisi in: Paninari, i benestanti, quelli che vestivano solo firmato: (Lumberjack, Monclair, Lewis 105 etc etc); i Punk, dai capelli sparati e ipercolorati, piercing all'orecchio e al naso, i Dark, vestiti di nero, persino lo smalto, anelli o collane con teschi, occhi pesantemente truccati di nero, anfibi ai piedi; i Metallari, seguaci dei gruppi heavy metal, con le magliette raffiguranti ACDC, Black Sabbath etc, i leggins colorati e i capelli lunghi anche per i ragazzi; infine i coatti o tamarri, quelli che di moda non se ne intendevano e nemmeno di musica, che vestivano seguendo l'unica regola della praticità: camicie o maglie non firmate, con colori mal assortiti, canottiere, bermuda, scarpe da ginnastica e in estate sandali o zoccoli in legno.
In questo classismo io mi sento vicina ai Dark, che rappresentano per me un misto di malinconia ed eleganza. Tuttavia far parte di uno di quei gruppi per me che vivo in un quartiere misto, diviso tra piccolo borghesi e tamarri, mi risulta impossibile.
Dovrei spostarmi verso le zone del Vomero, dove la civilizzazione e il progresso trovano un po' di spazio, ma per raggiungere quella zona i miei genitori dovrebbero comprarmi un motorino.
Ricordo bene quella sera. Siamo in cucina. Io chiedo disperatamente un motorino usato. "Le mie amiche si ritrovano tutte al Vomero. Come ci arrivo io?"
"E' pericoloso." afferma mia madre.
"Lo so, ma tutte le mie amiche ce l'hanno e sono ancora vive!"
"E dove lo mettiamo poi?"
"In garage."
"Quanto costa?"
"Trentamila lire al mese."
"Non possiamo permettercelo."
Così come la volpe all'uva, il mondo delle amicizie, dei divertimenti, dell'adolescenza, diventano per me qualcosa di cui non ho bisogno.
Vorrei studiare musica. La musica è la mia migliore amica insieme ai libri che mi aiutano a immaginare, ad abbattere i muri di casa mia e a viaggiare lontano almeno con la fantasia
Mia madre sostiene che a 18 anni farò ciò che voglio. A 18 anni?
Meglio scappare.
Il viaggio in Inghilterra è la mia occasione. Una volta lì, troverò un lavoro e in Italia nel medioevo Napoletano non ci torno più!
(continua)

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